Lei dice che la prima molla è «l'amore», per i pazienti e per la professione. Lui crede nella curiosità per i progressi della scienza e mette in guardia: «Non si pensi mai di fare il medico solo se si vogliono fare soldi».
Lei fa parte dell'altra metà del cielo della classe medica, quelle donne che ormai sono il 37% dei dottori d'Italia e che in pochi anni saranno maggioranza. Ma senza, o quasi, posti di responsabilità. Perché il potere medico non è femmina. Eppure – ospedaliera, 43 anni appena compiuti, una trafila più che decennale prima di trovare posto nel Ssn – Marilena Celano ce l'ha fatta: è dirigente del pronto soccorso dell'ospedale di Desio, il George Clooney di E.R.-Donna medico in prima linea.
E anche Antonio Panti di prima linea se ne intende. Ha fatto la storia della medicina generale d'Italia, Panti, dall'alto dei suoi 72 anni di fiorentino verace e che anche da pensionato continua a vivere la professione con la passione di sempre. Anche da presidente dell'Ordine di Firenze, ruolo che ricopre da 21 anni. Una vita da padre nobile della medicina del territorio, cominciata nel segno delle mutue: «Che fallimento! Ad aprirci gli occhi fu l'Alberto Sordi del Medico della mutua: non è possibile, ci dicemmo, ci vuole una rifondazione».
Ora, non è che l'Albertone medico cinematografico avido e incapace abbia riscritto la storia della sanità pubblica italiana. Il welfare negli anni seguenti ha fatto il suo corso. Con il Servizio sanitario nazionale per tutti, ma anche con la politica e i partiti che allora come ora occupavano tutte le poltrone e si spartivano il bottino. Con i macellai con tessera di partito presidenti dei comitati di gestione e la spesa che intanto galoppava senza freni. Poi venne la grande gelata del '92 e Giuliano Amato pose i primi argini. Che poi non bastano mai. Oggi – domani – comincia un altro giro: a salvare la sanità pubblica ci dovrà pensare il federalismo fiscale. A farcela. E chissà se anche per i medici sarà tempo di voltare pagina.
Già oggi, del resto, per i dottori d'Italia le prospettive sono cambiate. Il medico deve avere bagaglio da manager e occhio alla spesa. È costretto alla "medicina difensiva", non tanto per curare meglio o prescrivere di più (analisi, farmaci) ma per evitare le cause miliardarie intentate da stuoli di avvocati ingordi. Che dire poi di quei pazienti più "colti" che stravolgono il vecchio modo di essere medico "padrone assoluto". Per non dire delle tecnologie miracolose e dello spezzettamento della medicina, con lo specialista del gomito e quello dell'alluce.
Certo Ippocrate non poteva prevederlo. Non tutto e non tutto così, almeno. Come saranno i medici degli anni che stanno arrivando? Che insegnamento lascia loro Ippocrate?
«Ippocrate – afferma Celano - dovrebbe essere riscoperto soprattutto oggi che viviamo in un momento in cui il problema culturale evidente è come si concepisce la vita, la malattia e la morte, cosa ci si aspetta dalla medicina e dal medico e come deve costituirsi il rapporto medico-paziente. Un rapporto che è personale, espressione di un incontro tra domanda del malato, sempre più consapevole, e risposta di chi lo cura. Certo, al medico serve una formazione scientifica e tecnologica. Ma attenzione: alla base è sempre più indispensabile una formazione umanistica».
Già, come ai bei tempi andati, quando studiare medicina significava anche – soprattutto? – studiare (capire) l'uomo. Scriveva Armand Trousseau, medico francese dell'Ottocento: «Non esistono malattie. Esistono solo malati». Ippocrate può ancora vivere e combattere a fianco dei camici bianchi di oggi? Panti ne è sicuro: «Ippocrate esiste per due grandi valori sempre validi: fare il massimo bene possibile al paziente e difenderlo da tutto ciò che può nuocergli. Ogni professione ha bisogno di radici culturali ed etiche e poiché la professione medica è tra le più antiche del mondo, è evidente che questo "padre originario" ha ancora un valore morale. Tuttavia oggi - aggiunge - c'è una crisi profonda e radicale della professione e dei suoi rapporti con la società, per cui c'è da chiedersi come si vivrà la deontologia tra qualche anno e come noi medici dovremmo adeguare la nostra deontologia a una medicina diversa da quella anche solo di pochi decenni fa». Testamento biologico, eutanasia, nascite in provetta, tutti i temi eticamente sensibili così italicamente incrociati con la fede religiosa, sono oggi la punta dell'iceberg delle nuove sfide etiche della medicina.
Crisi d'identità, ma non solo. È anche quel maledetto e spesso impossibile accesso alla professione a fare la differenza. Si pensi agli specializzandi, considerati la "carne da macello" in ospedale. Fanno tutto e non li pagano, o quasi. Aspettando il posto, qualcuno rischia il precariato a vita in camice, bisturi e stetoscopio.
«L'ostacolo maggiore che ho incontrato – ammette Celano - è stato l'imbuto che si crea dopo la laurea al momento della specializzazione, dove i posti sono pochi e spesso, quando ci si accorge che si rischia di restare anche anni in lista d'attesa, balena nella mente il dubbio sull'opportunità della scelta fatta». Essere donna, naturalmente, è sempre un'aggravante. «Sono single e senza figli», taglia corto la dottoressa. Che pure ha fatto carriera, chissà se altra ne farà.
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